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PAUL CHAIN
"Filosofia Viola"
Aprile 1996
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2 Aprile 1996; una macchina Ritmo rossa parcheggia nel piazzale della stazione dei treni di Pesaro; al suo interno,  un uomo tutto vestito di nero fa un cenno al sottoscritto di avvicinarsi. Salgo dentro, gli stringo intimorito la mano, e insieme ci dirigiamo in Via Cadore, al civico 3. Ho appena conosciuto PAUL CHAIN, il guru della scena dark/doom italiana. Quello che segue è un sunto del pomeriggio trascorso nell'arcana casa dell'artista marchigiano.

Come hai iniziato a suonare?

Mio padre era un fisarmonicista e mio zio un chitarrista; sono cresciuto in una famiglia di musicisti.
Ho cominciato a suonare la tastiera a sei anni, due anni dopo scoprii la batteria, ma siccome era troppo rumorosa mia madre mi regalò la mia prima chitarra. Così, verso i dieci anni ho cominciato a suonare sia la chitarra che il basso. Nel 1972 avevo già un gruppo mio col quale facevo covers ed anche pezzi miei nati da lunghe improvvisazioni.
Gli ultimi anni '70 erano i più belli, perché c'erano ancora gli strascichi della cultura seventies; nel 1979 ho fatto il mio primo concerto a nome Paul Chain (coi Death SS esordimmo sul palco un anno dopo). Suonammo in un parco chiamato, allora, "Parco della Vittoria" qui a Pesaro. Era una serata di gruppi prevalentemente jazz e appena iniziammo a suonare noi scoppiò una grande rissa, la gente diceva che la nostra musica li incitava a sfogarsi.

Quali furono le tue influenze iniziali?

In principio Le Orme, i Pink Floyd, i primi Skid Row, i Kiss (per il look) e soprattutto i Budgie, una sorta di mito per il sottoscritto; se non li conosci posso descriverteli come dei "Black Sabbath più solari". Poi nel 1977 arrivò il punk e quasi contemporaneamente scoprii i King Crimson; ascoltavo anche i Led Zeppelin, gli Who, i Goblin e molta musica classica. Io sono un bachiano; Bach è uno che finchè è vissuto è passato inosservato, però era il pioniere della nuova musica. Anche se la gente non se ne accorge, sullo stile di Bach è stata fondata la musica moderna, anche quella leggera. Al suo tempo era troppo all'avanguardia, troppo serio, troppo vero. L'immagine di Bach mi piace molto; l'idea del musicista che viene capito dopo la morte.
Comunque, ascoltando tutte queste cose apparentemente lontanissime tra loro, ho maturato un mio stile, forse perché sono partito con un'accordatura aperta di stampo medioevale/indiano. La mia accordatura ha fatto sì che non partissi come tanti altri chitarristi; ho fatto un paio di anni di conservatorio ed il direttore diceva che avevo un gran talento, ma per me la chitarra con l'accordatura tradizionale non "suonava", non la sentivo mia. Allora ho cominciato a lavorare su composizioni ed improvvisazioni mie, trovando piano piano la tonalità giusta che cercavo.

I primi, gli unici, originari DEATH SS; puoi raccontarmene dettagliatamente la vera storia?

I Death SS nacquero originariamente come gruppo punk nel 1977; come ti ho detto prima, in quell'anno per un periodo fui rapito da quel suono e dall'attitudine del suo movimento. Casualmente seppi che proprio nella mia città, Pesaro, c'era una radio che trasmetteva canzoni punk e volli andare a conoscere il tipo che lavorava per questa emittente. Conobbi così Steve Sylvester, un quattordicenne che oltre al punk nutriva, come il sottoscritto, una passione smisurata per il cinema ed i fumetti horror ed una certa predisposizione per l'occultismo. Eravamo due mosche bianche in una città come la nostra, e ciò ci rendeva maggiormente consapevoli della nostra diversità da tutto il resto.
Il nome Death SS fu creato e scelto da me; "Death" per il fascino della morte e "SS" come provocazione tipicamente punk; il periodo punk fu breve, massimo 4/5 mesi, poi io e Steve sentimmo che era giusto trasportare in musica la nostra passione per l'horror e l'occulto, e da allora i Death SS cambiarono filosofia. Tenemmo il nome Death SS, in quanto andava benissimo, rappresentando le due SS le iniziali di Steve Sylvester e decidemmo di dichiarare che il nome significava che tutto avrebbe avuto fine con la morte fisica di Stefano Silvestri.

Chi ebbe l'idea delle maschere horror e dell'unione fra occultismo e musica?

L'idea dei Death SS come horror band è nata da me e Steve insieme; un pomeriggio a casa mia lui fece uno schizzo su un foglio di carta con dei personaggi tipici dell'horror e disse "Pensa come sarebbe bello se ci fosse una band coi membri truccati da  personaggi da film dell'orrore". Io rimasi folgorato da questa sua frase/idea e risposi immediatamente "Questa è una cosa che faremo noi". Da quel momento i Death SS cambiarono filosofia, reclutavamo i musicisti non solo in base alle abilità tecniche ma anche, soprattutto, in base alla loro predisposizione verso l'occulto.
Lentamente il legame con l'occulto diventò sempre più stretto, fino ad arrivare alla creazione di una setta dedita a "certi rituali e pratiche".
Non eravamo solo un gruppo musicale, eravamo molto di più; la ricerca delle lapidi, delle croci e dei giusti luoghi per le foto sessions, i riti svolti di notte nelle colline intorno a Pesaro, le frequenti visite ai cimiteri e alle chiese sconsacrate in cerca di ispirazione e materiale da usare poi sul palco; tutto questo, unito alle "presenze" e agli "umori" che circondavano in quei tempi il gruppo, rendeva i Death SS qualcosa di unico ed irripetibile nella storia del rock.

Scusa se t'interrompo ma non posso non pensare che all'epoca avevate meno di 18 anni; come facevate a considerarvi occultisti ad una così giovane età, senza la dovuta esperienza in un campo così vasto?

Hai mai conosciuto o praticato l'occultismo? No? E allora stanne fuori, è molto meglio. L'occultismo è materia per pochi; non sei tu che devi/puoi addentrarti nell'occultismo, è l'occultismo che viene a chiamare te. Sono pochissime le persone che possono essere definite occultisti nel vero senso del temine. Queste persone, fin dalla più tenera età, sentono di avere un qualcosa non permesso agli altri (o meglio, a tutti); io fin da bambino sentivo delle voci che tracciavano il mio cammino e le mie azioni, sentivo delle presenze accanto a me atte a darmi il loro insegnamento invisibile agli occhi degli altri. E lo stesso accadeva a Steve; non eravamo dei ragazzini che giocavano col bicchierino sul tavolo e cose simili; le nostre esperienze erano figlie di una profonda conoscenza della materia.

Torniamo ai Death SS degli anni con Steve Sylvester; mi dici che cominciaste nel 1977 come gruppo punk. Eppure "Terror", il vostro primo pezzo mai scritto, è a mio parere il brano pìù "doom" mai concepito dai Death SS; come spieghi l'arcano?

"Terror" è stata scritta nel 1977, ma la versione che senti su "The story of." è quella registrata nel 1981 (dal primo demo "Horned God Of The Withces"). Comunque anche nella sua primissima versione era un brano molto più lento della media di quelli composti in quel periodo. Forse perché nacque in condizioni particolari, durante i nostri primi passi verso l'ignoto. "Terror" fu scritta da me in una notte di temporale, sia la musica che il testo; Steve poi lo riadattò, ma l'idea dei morti che venivano fuori dalla tombe era mia.
"Terror" fu anche la rovina, il punto di rottura definitivo fra me e Stefano; come ti ho detto, era un pezzo completamente mio, ma quando fu pubblicato sulla compilation "Gathered" (1981) Steve mise il suo nome come autore nelle note di copertina. Questa cosa mi fece incazzare come una bestia e da lì a poco (nei primi mesi del 1982) ci fu il suo allontanamento; lui ha sempre detto che fu lui ad andarsene , ma la realtà è che fu cacciato senza tanti complimenti.
Nel gruppo Steve era quello che teneva i (pochissimi) contatti che avevamo con la stampa (soprattutto con Beppe Riva), quindi all'esterno si credeva che fosse il leader della band mentre invece era semplicemente il cantante, niente di più.

Conoscendo la tua prolificità trovo strano che in ben cinque anni componeste solo i brani contenuti nel primo lato di "The story of."; esistono inediti di quel periodo? E ci sarà la possibilità di ascoltarli un giorno?

Coi primi Death SS passammo tre anni consecutivi in sala prove senza fare concerti (il primo fu nel 1980); Steve diceva che bisognava uscire dal vivo alla grande e quindi ce ne stavamo chiusi in studio a provare e riprovare infinite volte gli stessi brani.
La cosa buffa è che poi, quando si andava a suonare dal vivo, passavamo prima molte ore per truccarci ed entrare nel personaggio, e poi alla fine dei conti, non suonavamo mai più di venti/massimo trenta minuti per concerto.
Alcuni inediti di quel periodo sono stati inseriti nella cassetta "The story of..part 2" (rilasciata anni fa dal mio fan club); c'è da dire che avevamo qualche bozza di canzone e soprattutto molto materiale strumentale, visto che spesso,  invece che presentarsi in sala prove, Stefano andava in discoteca, lasciandoci da soli a jammare; passavamo le notti a suonare le cose più disparate e in un certo senso lì può essere vista la nascita dell'improvvisazione, che è alla base di Paul Chain.
Tornando ai primi Death SS, ci sarebbero i "falsi" pubblicati l'anno scorso come "The Cursed Singles".

Cosa è questa storia dei falsi?

Quel Box, "The Cursed Singles", pur nella sua qualità, è un falso. Roberto Mammarella (titolare dell'Avantgarde Music, etichetta che ha stampato il Box) da anni ci dichiarava il suo amore per i primi Death SS e si diceva altamente interessato alla pubblicazione di nostro materiale. Steve ha quindi approfittato della situazione per farsi i comodi suoi. Nel 1993, come sai io e Steve ricucimmo i rapporti e tornammo a suonare insieme. Durante le registrazione del suo solo album "Free man" registrammo in amicizia anche dei brani più sullo stile Death SS, ripescando anche qualche riffs composto negli anni '80 e rimasto nel dimenticatoio negli anni seguenti. "Profanation" e "Spiritualist seance" (registrate, ripeto nel 1993/94) contengono alcune idee/soluzioni inizialmente concepite nel lontano bienno 1980/81, poi mai registrate per i motivi che ti ho sopra elencato.
Sono comunque a tutti gli effetti dei pezzi nuovi, ma Steve ha spacciato in giro la voce che siano ristampe di fantomatici singoli pubblicati nei primissimi anni di vita del gruppo; ma chi può credere ad una roba simile? Le hai sentite la registrazione e la produzione? Come si può farle passare per cose dei primi'80, soprattutto pensando a come, in Italia, si producevano i dischi metal in quegli anni?
Steve ha sfruttato ancora una volta la mia fiducia e amicizia per mettere sul mercato l'ennesimo falso targato Death SS.

Torniamo ai "veri" Death SS ed all'anno 1982; entrò alla voce Santcis Ghoram.

Sì, anche se posso dirti che lui non era la nostra prima scelta. Noi volevamo sostituire Steve Sylvester con Gilas (canterà la mitica "17th Day" sul primo mini album di Paul Chain "Detaching from Satan") che era la persona perfetta per noi; grande voce e reale interesse e conoscenza dell'occulto. Ma era un ragazzo perennemente strafatto di anfetamine, psicofarmaci, sempre in giro alla ricerca di droghe, alcool e simili. Non potevamo fare affidamento su una persona così e quindi optammo per Sanctis Ghoram.
Il periodo con Sanctis Ghoram va dal 1982 al 1984 e fu molto prolifico dal punto di vista compositivo; oltre ai brani presenti sul secondo lato di "The story of.." ne avevamo altri molto belli, come "The bones and the grave", "Death And love", "The evil and the sorrow" , ma non furono mai registrati per la mancanza cronica di soldi.
Tre anni dopo, nel 1987, ho pubblicato "The story of." per porre fine alla storia dei Death SS e tributarli comunque per quel grande gruppo d'avanguardia che erano stati; Steve Sylvester si è preso il successo di quel disco ed ha riformato la band a Firenze con nessuno dei membri originali, registrando il monicker a nome suo. Registrare un nome alla Siae voleva dire, in quell'epoca, spendere cinque milioni per un gruppo che, a mio avviso, era morto e sepolto e quindi io non lo feci; lui invece aveva interessa a farlo, lo fece e da allora i Death SS sono un progetto esclusivamente suo, e tutta la stampa e la gente lo ritiene tale.
A mio parere, invece, i Death SS si erano sì sciolti, ma avevano comunque continuato in un certo senso come Violet Theatre; facevamo concerti con la stessa formazione, con la stessa scenografia, suonavamo spesso i pezzi vecchi; ma questa cosa la stampa, soprattutto quella italiana, non l'ha capita, o meglio, non l'ha voluta capire.

Alla luce di quanto mi dici, deduco che il tuo rapporto con la stampa italiana non sia idilliaco.

In passato quando facevo le interviste e dicevo le stesse cose che sto dicendo oggi a te, i giornalisti me le tagliavano o cambiavano; in Italia c'era la mafia giornalistica.
I giornalisti devono fare i giornalisti, punto e basta; se io dico una cosa devi trascriverla tale e quale, perché devi essere di parte? La guerra dei mass media mi fa ridere, soprattutto fra i metallari; a parte il fatto che io non sono un metallaro; io sono nato prima dell'HM e sopravviverò anche all'HM; non sono un metallaro in questo senso.
Se i giornalisti metal dicono che non è possibile che Paul Chain faccia un giorno un disco doom e il giorno dopo faccia un disco di musica elettronica, mi spiace per loro, ma io purtroppo esisto, sono una realtà; all'estero vendo molto più io degli Extrema, quindi vuol dire che forse sono i giornalisti che si sbagliano.
Mi ha veramente stufato la gente che mi viene a contestare quello che faccio perché non lo capisce; perché mai io non dovrei fare più cose insieme? Nessuno mi deve venire a dire quello che devo fare; nessuna etichetta deve dirmi "fai un disco così, coi suoni così, con le canzoni così", non esiste assolutamente. Perché dovrei limitare la mia creatività? Se a un fan non piace un determinato disco che non lo compri; esca dalla mentalità del fan e compri l'album solo se gli piace, non perché c'è scritto sopra "Paul Chain" ma il disco gli fa schifo.
Io non faccio disco all'esclusivo scopo di venderli; sono sempre stato fuori dal giro nazionale, perché in Italia abbiamo sempre avuto al potere la DC, la Chiesa, la mafia; la musica rock non doveva andare avanti perciò gli hanno messo i bastoni fra le ruote, l'hanno uccisa. Quello che ci ha rimesso di più sono stato io che avevo un gruppo avanti quindici anni rispetto agli altri.
Questo è sempre stato il problema principale coi giornalisti italiani; la censura che hanno fatto in tutti questi anni alle mie interviste/parole. Ho avuto uno scoglionamento e li ho mandati affanculo in blocco; non ho tempo da sprecare con gente che cambia partito e bandiera a seconda di quanti soldi gli mostri.
Io lavoro con la gente in gamba; io dico una cosa e tu, per serietà professionale, me la trascrivi tale e quale; se non lo fai io taglio, mi freghi una volta soltanto.

Parliamo dell'ultimo disco "Alkahest"; anzitutto, come è stata la collaborazione con Lee Dorrian?

E' stata ottima, sotto tutti gli aspetti. Lee è una grandissima persona e ci siamo trovati subito alla perfezione; abbiamo le stesse idee e lo stesso approccio. La differenza, come dice lui, è che lui è nato in Inghilterra e io sono nato in Italia. Ecco che allora lui può andare in tour, vendere dischi, non avere problemi di soldi al contrario di me. Può sembrare una sfortuna, ma dall'altro lato è lui ad invidiare me, perché io non ho schemi e regole da seguire, sono libero.
Il doom è una musica profonda, molto più profonda degli altri generi metal, e quando io gli ho fatto ascoltare e capire che l'elettronica dell'album "Dies Irae" ne è la continuazione, l'ulteriore approfondimento dello spirito doom, lui è rimasto stordito. Perché in questo senso lui ha paura, timore di sconfinare verso altri orizzonti musicali non tradizionali che vorrebbe invece approfondire. Io invece sconfino liberamente, fregandomene di come va il mercato.

"Alkahest" è il disco più doom della tua carriera.

"Alkahest" non né un disco di solo doom, è più aperto, è un insieme di umori e stili diversi; possiamo parlare di dark sound, suona molto meglio. Conosco molto bene lo stile doom, ma in questi ultimi anni mi ero dedicato a cose più sperimentali. Una cosa ci tengo a sottolinearla; se "Alkahest" suona doom non è certo perché il doom è tornato ora di moda ed ha recuperato interesse.  Ci sono stati degli eventi, come l'incontro con Lee Dorrian, il contratto con la Flying Records, che vorrebbe continuassi su questa linea, ma ora non me la sento proprio.
Io in passato ho fatto molte cose vicine al doom solo che il più delle volte non c'erano i soldi per produrle o registrale; la gente deve sapere che quello che ha potuto ascoltare è il 30/massimo 40% di quello che doveva essere; senza soldi io più di così non potevo fare, anzi ci ho rimesso parecchio in termini di salute.

"Alkahest" è dedicato ad Aldo Polverari, deceduto lo scorso anno; come mai dedichi sempre i tuoi dischi a persone scomparse?

Forse perché mi piace il ricordo della memoria; è un tributo molto importante dedicare i dischi ai morti, anche perché i morti sanno la verità delle cose e di ciò che accade nel mondo. E' come un elemento propiziatorio.
Riguardo Aldo Polverari, posso dirti che era un mio grandissimo amico; ci conoscevamo fin dai tempi dell'asilo, quando andavamo insieme a caccia di lucertole nei giardini della scuola. Mi è sempre stato accanto nella mia vita privata ed artistica; nonostante sia comparso solo in qualche disco in vesti di ospite è sempre stato invece un elemento importantissimo nell'economia del suond dei Death SS prima, e del Paul Chain Violet Theatre poi.
Nei primi anni di attività "extra musicale" dei Death SS era sempre al nostro fianco, potremmo quasi considerarlo come il sesto membro aggiunto della band; fu uno dei primi ad appoggiare con entusiasmo l'idea mia e di Steve di vestire i personaggi dell'orrore. 
Negli ultimi giorni di vita lo sentivo spesso e mi diceva di sentirsi vicino al trapasso, anche in virtù di certi errori commessi nel cammino esoterico iniziato con noi nei primi anni di attività della band.

Quali ritieni essere i capitoli più riusciti della tua lunga discografia?

A loro modo tutti sono importanti; ti posso citare "Detaching from Satan", il principio di tutto e registrato in "particolari" condizioni nel Settembre/Ottobre 1984.
L'anno dopo, il 1985, sono entrato a lavorare come usciere alla Camera di Commercio di Pesaro e questa cosa mi ha annientato come un lutto; la cosa che mi faceva più star male è il fatto che dovevo lavorare invece che dedicarmi completamente alla musica. E nel disco dopo si sente; "In the darkness", nel buio più totale; in origine non doveva essere così scuro quel disco, ma gli eventi lo portarono ad essere un disco nero, un disco da lutto appunto, basta vedere la copertina originale (mi fa vedere l'originale in vinile, totalmente nero sul fronte - nd. Marco).
Sono legato a dischi come il "Picture Disc" e "Withed sepulchres", dischi dalla storia travagliata, in quanto all'epoca non venivano considerati ufficiali; col tempo questi dischi, diciamo "semiufficiali", sono quelli a cui sono rimasto più legato. "Withed sepulchres" parlava del tessuto sociale disgregato e qui in Italia non fu capito e quasi nemmeno recensito; adesso dopo tutto il casino che è successo con tangentopoli viene capito, ma prima di allora nessuno parlava di quel disco, recepito invece subito benissimo in America. Fu stampato in sole 500 copie, volutamente mai distribuite, perché io era veramente sprofondato sotto terra e ho tentato il suicidio parecchie volte in quel periodo.

Infine, in un'intervista a PAUL CHAIN, non posso esimermi dal chiederti quale è il tuo legame con la morte e l'aldilà.

Per me la morte è la base di tutto. Sono vivo ed in questa vita ho capito molte cose; da un lato sono triste di essere vivo, dall'altro però sono contento. Se penso alle persone che mi vogliono bene e mi sono vicine penso che tutto sommato la vita ha un senso, a qualcosa deve servire. Vivere serve a capire delle cose e, attraverso gli errori, a capire quello che non si deve sbagliare. Ma se uno nella vita non capisce niente e guarda solo ai soldi e al piacere, allora quello è un vivere inutile. Io vedo il piacere fine a sé stesso come un'inutilità, la mia vita è invece ciò che è pensiero.
Il mondo è oscuro per me, lo vedo storto, la gente non sta bene, c'è questa energia negativa che io sono in grado di percepire. Mi interesso di filosofia, vivo insieme a delle presenze in forma di spirito da quando ero piccolo, con questi spiriti ci parlano, mi danno l'ispirazione. Qualcuno dall'esterno traccia la mia strada, c'è una mano occulta che guida la mia.
L'aldilà è qua, intorno a noi; mentre io e te stiamo qui a parlare, in questa casa ci sono altre presenze che ci ascoltano e ci indicano la via da seguire, nel caso siamo in grado di percepirne i messaggi.
Anche il cimitero è un luogo molto importante per me; di esso ne ho sempre sfruttato tutto. Ai tempi dei Death SS lo sfruttavo in senso "materiale", andandovi a prendere croci, lapidi, corone funerarie; poi col passare degli anni l'ho usato come luogo di riflessione. La gente ha un'opinione distorta del cimitero, crede che sia la porta dell'aldilà o chissà cosa; invece esso è solamente il posto dove vengono deposti i cadaveri, mentre l'energia si è già trasferita da un'altra parte. Quindi nel cimitero c'è questa assenza d'energia che col tempo sono riuscito a percepire e grazie alla quale ho capito molte cose.

- MARCO CAVALLINI -