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OF THE MUSES
"Il fondo del cielo"
Maggio 2025
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Risponde Cristina Rombi

Ciao Cristina, bentornata sul sito e congratulazioni per il nuovo meraviglioso album. La prima sensazione è la sorpresa. Era questo uno dei tuoi obiettivi? Tu cosa provi riascoltandolo?

Ciao Marco, grazie per le belle parole e per avermi concesso ulteriore spazio. Sono davvero felice che tu abbia apprezzato Underheavens. Non direi che l’intento fosse tanto quello di sorprendere, quanto quello di rendere manifesto (anche a me stessa) il mio proposito di fare ciò che voglio senza farmi ingabbiare da schemi o aspettative altrui. Però a dire il vero non era neppure questa la mia priorità mentre componevo, quello che senti era quello che avevo bisogno di scrivere e suonare, molto semplicemente.
Detto questo, da persona estremamente autocritica, per me non è mai semplice riascoltare la mia stessa musica. Proprio ieri sera stavo risentendo Pilgrimage e, nel rendermi conto di un mezzo secondo di nota crescente in una linea vocale, mi è presa la nausea; dire che stavo per vomitare non è esagerato (questo anche per rispondere a tutti quelli che mi chiedono perché non suono live, consideratevi fortunati, soprattutto se siete tra quelli che amano stare in prima fila ai concerti). Al netto di tutte le mie recriminazioni su cosa avrei potuto fare meglio, comunque, quello che mi arriva nel riascoltare i brani sono soprattutto i sentimenti e la convinzione che ci ho riversato dentro. Mi sento felice di aver dato, almeno emotivamente parlando, il 101%.

Oltre al maggior spessore tecnico e all'abbraccio di svariate soluzioni stilistiche/sonore, quello che balza subito all'orecchio è la tua voce, molto più melodica ed espressiva. Hai "lavorato" molto su questo aspetto o hai semplicemente seguito il tuo istinto?

Grazie! Ci ho lavorato su per alcuni mesi. Sapevo di non essere in grado di interpretare i nuovi pezzi con la tecnica e il livello di allenamento che avevo nel periodo in cui ho registrato le voci su Senhal. Mi sentivo arrugginita, disabituata a regolare la respirazione e in generale parecchio fuori forma, quindi mi sono messa alla ricerca di un insegnante che potesse aiutarmi a riacquisire sicurezza ma anche a sviluppare meglio la voce di petto, dato che comunque, il materiale che avevo scritto richiedeva un approccio più energico e deciso. Fortunatamente, mi sono imbattuta in quella che è diventata la mia coach, Vittoria Polacci, che non smetterò mai di ringraziare. È stata lei a trasmettermi tecniche più moderne rispetto al belcanto con cui mi sono formata, e a darmi preziosi suggerimenti su come rendere più incisiva la mia interpretazione. Grazie a lei, ho cominciato a sentirmi una cantante, anche se c’è ancora molto su cui lavorare.

"Underheavens - Of Blood, Ghosts and Saltwater" è il titolo del disco: hanno un significato specifico queste parole? Servono a descrivere, o almeno introdurre, il suo contenuto sonoro/lirico?

Assolutamente sì. Il termine Underheavens non ero neppure sicura che esistesse, ho poi scoperto che ci sono poche antichissime attestazioni che sono cadute nell’oblio più totale. Io l’ho “immaginato” ispirandomi ai miei studi astrologici; esiste un punto specifico del tema natale, chiamato Imum Coeli, che è essenzialmente la parte più intima, privata e profonda del nostro essere. Il mio sole (il Sé cosciente, diciamo) forma una congiunzione proprio con questo punto, ed entrambi cadono nella Quarta Casa, che, in astrologia tradizionale (io mi occupo prevalentemente di astrologia ellenistica), è collegata alla figura del padre ma anche alla morte, alla fine della vita e alla ciclicità di quest’ultima. L’impatto della figura paterna sulla mia vita interiore e sulla mia esistenza tutta è quindi ben evidente anche solo da una prima occhiata al mio tema natale.
Tradotto grossolanamente dal Latino, Imum Coeli significa “il fondo del cielo”. Mi è sempre sembrata una bellissima espressione, poetica, enigmatica, quindi per me è stato logico, anche alla luce di tutto il simbolismo astrologico di cui ti ho appena parlato, volerla includere nel titolo. Così me ne sono uscita fuori con “Underheavens”, liberissima traduzione inglese di Imum Coeli che però allude anche ad altro, a ciò che sta sotto il cielo quindi noi, le nostre vite, i nostri casini di esseri umani; o anche, potremmo dire, all’inferno che, secondo una certa visione della vita accoglie i devianti, i peccatori, chi si macchia di comportamenti empi, come venivano giudicati l'uso di eroina o i rapporti omosessuali ai tempi in cui l’HIV era una condanna a morte (perché di questo parla il disco). Una mentalità ottusa e inumana che, purtroppo, come ben sappiamo, ha ucciso tanto quanto l’infezione.
E poi ci sono il sangue, veicolo di morte ma anche di legami, i fantasmi delle persone che ci lasciano, e l’acqua salata, perché sia io che mio padre siamo cresciuti a due passi dalla spiaggia, e il mare è legato a doppio filo ai ricordi della mia infanzia; l’espressione può sicuramente riferirsi anche alle lacrime. Quindi sì, ogni parola é stata pesata e ponderata, e ogni elemento si ricollega agli altri e a quelli che sono i contenuti del disco.

Le differenze fra i due albums sono notevoli. Un collegamento, un proseguimento, a livello umorale/emotivo più che stilistico, è "V", la canzone posta in chiusura del debutto. Questo brano poteva essere, fra le altre cose, visto come un "avviso" della strada stilistica che stavi intraprendendo?

È curioso che lo pensi! Io non avevo considerato questo collegamento, nel pensare a un ipotetico ponte tra i due album lo trovo più che altro in IV, quantomeno a livello stilistico, perché è un brano molto melodico e “leggero” che si discosta abbastanza dal black metal che invece prevale nel resto di Senhal. Per come la vedo, gli “indizi” erano tutti lì. Però potresti anche avere ragione tu, se parliamo di contenuto emotivo più che di sound allora V era un pezzo molto esplicito e trasparente, quindi sì. Ci può stare.

Il testo di "V" era in italiano. Il nuovo album è interamente cantato in inglese; a cosa è dovuta questa scelta? C'è un significato specifico dietro essa?

Non è stata una scelta consapevole. Underheavens è un album parecchio influenzato dal mio amore per qualsiasi cosa uscisse fuori dalle Isole Britanniche a cavallo tra gli anni 80 e 90, che sono anche gli anni in cui si sono verificati i fatti di cui parlo nel disco. Per cui, pur essendo io italiana, è un disco spudoratamente “anglofilo”.
Al di là di questo, io sono una persona che pensa in inglese, molto spesso parla con sé stessa a voce alta in inglese, ha pochissimi amici prevalentemente sparpagliati tra Inghilterra e Stati Uniti; e ahimè, sono uno di quegli individui insopportabili che passano dall’italiano all’inglese senza motivo nel corso della stessa conversazione, e giuro che non c’entra nulla col vivere e lavorare dalle parti di Milano. L’inglese è sempre stato il linguaggio di default del sistema operativo del mio cervello. Per me è stato molto più inusuale e anomalo l’italiano su V che l’inglese da qualsiasi altra parte.

Nella scorsa intervista alla mia domanda sul descrivere "Senhal" attraverso i colori hai utilizzato il bianco stemperato di grigio e il verde. Quali credi possano essere quelli per il nuovo album?

Senza ombra di dubbio, il blu e il rosso, infatti ho voluto che foto e artwork del disco (e la variante splatter della sua versione su vinile) seguissero questo schema distanziandosene il meno possibile. Il blu richiama il mare, il mondo degli spiriti e, per estensione, la morte; il rosso invece simboleggia il sangue e, di conseguenza, la vita. Rosso e blu sono anche i colori del Cagliari, la squadra di calcio della città in cui sia io che mio padre siamo cresciuti. Il calcio non mi interessa granché, ma, in questo caso, è un’associazione che ha la sua importanza.

Globalmente bellissimo, il disco presenta dei brani che mi hanno particolarmente colpito. "A summer burial", "Spirits interlude", Phantom Limb" e "The night". Sono la dimostrazione che atmosfere malinconiche, sonorità nostalgiche, voci dalle tonalità dolci, delicate, sognanti convivono alla perfezione. Sei d'accordo?

Ti ringrazio e, per quanto riguarda la tua domanda, sono d’accordo con te. Non mi stancherò mai di ripetere che il sentire umano ha mille sfumature, e che quando si tratta di emozioni c’é un’infinita scala di grigi tra gli estremi di bianco e nero. Da parte mia, ho sicuramente sempre avuto una predilezione per le sonorità e le atmosfere sognanti, eteree, direi quasi luminose.

Il lavoro vocale, come detto, poggia spesso su timbri e tonalità vellutate. "The night", posta in chiusura (prima dell'outro strumentale) presenta proprio alla fine i toni vocali più oscuri, tristi, rabbiosi. E' un caso o c'è un significato particolare dietro?

No, non é stata una scelta casuale e sì, c’é dietro un significato preciso. The Night e Phantom Limb sono i brani più cupi del disco, perché in un certo senso rappresentano il superamento dell’età dell’innocenza e la realizzazione che qualcosa non va; mentre invece i brani che precedono fanno riferimento alla primissima infanzia oppure al presente e ai tentativi di dare un senso al tutto. The Night é un brano che vuole raccontare la lenta discesa nell’anedonia e il sopraggiungere di stati d’animo subdoli e oscuri, una fase intermedia tra le due, l’allungarsi delle ombre, l’emergere della paura, il preludio di lunghi anni di vuoto e autodistruzione.

In basi a quali caratteristiche hai scelto "The In-between Was A Fever Dream" come brano per il video promozionale dell'album? Cosa volevi esprimere attraverso le immagini di esso?

Ho scritto The In-Between proprio ispirandomi a certi ruffianissimi e radiofonici singoli degli anni Novanta, in particolare a quei brani che, pur essendo delle vere e proprie hit, trattavano in realtà di argomenti tristi e addirittura tragici. Un esempio perfetto sono le orecchiabilissime Motorcycle Emptiness o If You Tolerate This Your Children Will Be Next dei Manic Street Preachers, la prima una critica al consumismo sfrenato e alla ferocia predatoria del capitalismo, la seconda un monito contro i pericoli del fascismo ispirato alla Guerra civile spagnola. Eppure, a dispetto dei contenuti, tutto sono fuorché dei brani deprimenti o di nicchia, anzi, ebbero un successo commerciale enorme! Ecco, The In-Between voleva essere proprio un omaggio a questo “filone", l’intenzione di farne il primo singolo era presente e deliberata già mentre scrivevo.
Avevo in mente di realizzare un vero e proprio video, ma, purtroppo, ho dovuto rinunciare ai miei progetti per questioni legate al budget. Il lyric video é stato quindi creato da Goffredo Passi di EstremArte Videoproduzioni, facendo largo uso di grafiche realizzate da Tryfar, che si é occupato della cover art e del booklet di Underheavens.

Affrontando il lato lirico, come avevi già annunciato nelle interviste rilasciate dopo la pubblicazione di "Senhal", questo nuovo album poggia sul lutto per la morte di tuo padre avvenuta quando eri giovane. Se non sono indiscreto, come mai hai deciso di dare voce a questo evento? In base a cosa credi fosse giunto il momento di farlo?

Figurati, dopotutto sono io che ho deciso di parlarne! La ragione per cui lo sto facendo solo ora é molto semplice: mio padre é morto di complicazioni derivate dall'AIDS, e se già lo stigma era imperante nelle grandi metropoli del resto del mondo (per la verità, anche se le cose sono cambiate in meglio, persiste ancora oggi), immaginati che aria potesse tirare negli anni Novanta in una cittadina minuscola come Cagliari.
A quei tempi e anche dopo, I miei parenti da parte di madre hanno fatto di tutto per screditarlo, minimizzarne il ruolo e far passare la sua morte sotto silenzio; questo perché loro stessi avevano il terrore della malattia e del danno che essa avrebbe potuto arrecare alla loro reputazione e ai loro rapporti con gli altri. Sin da piccolissima, sono quindi sempre stata dissuasa dal parlarne, dal fare domande, dall’esprimere le mie emozioni al riguardo; fino a quando non ho iniziato a reprimere ogni cosa, convincendomi del fatto che non fosse poi una parte così importante della mia vita e che avrei potuto vivere benissimo senza.
A ripensarci adesso sembra una follia, e infatti lo era, è assurdo anche solo pensare di poter cancellare un genitore dalla vita di un figlio come se non fosse mai esistito. Ma tutto questo é accaduto quando avevo a malapena iniziato le scuole elementari, e quando cresci immerso/a in un certo tipo di cultura, di ambiente con le sue regole, riuscire a metterli in discussione non é così immediato. Io ci sono riuscita del tutto solo quando, all’improvviso, a decenni dall'accaduto, l’“altra" famiglia é riuscita a scovarmi sui social e a mettersi in contatto con me. Questo é accaduto proprio nel periodo in cui firmavo con My Kingdom Music per l’uscita di Senhal. Ed è stato lì che la ferita si é riaperta; sono tornata nel luogo che mi ero lasciata alle spalle, ho passato dei giorni in loro compagnia, ascoltato le loro storie, guardato foto e filmati, sono venuta a conoscenza di molte cose che mi erano state tenute nascoste.
Per me è stato uno shock, oltre che molto difficile da affrontare, ma ho finalmente avuto modo di scendere a patti con tutto ciò che avevo soppresso negli anni e, soprattutto, di “umanizzare" la figura di mio padre, restituirgli dignità, ricreare il nostro legame. Da qui anche il bisogno, perché è stata una vera e propria necessità, di mettere tutto in musica.

Quanto ti è stata d'aiuto la musica in quel periodo?

Tanto, come in ogni periodo della mia vita, come sempre, da sempre. Come ti ho appena spiegato, ero ancora piccolissima, ma avevo già l’abitudine di riempire il vuoto della solitudine con i brani delle band di cui iniziavo ad appassionarmi.

Penso che prima o poi tutti avvertono la necessità di buttare fuori i pensieri, i sentimenti che fanno male e scorticano dentro, dare voce a esperienze e sentimenti privati, "condividere", almeno in parte, il loro peso emotivo. Ora che hai "esposto" questo lutto come ti senti?

Mi sento un po’ meno a pezzi e un po’ più intera.

Alla fine dell'intervista realizzata con Francesco Palumbo il 24 Maggio 2023, fra gli elementi non musicali che ti hanno influenzato citi la tua infanzia. Secondo te, quanto incide quello che ci accade nei primi anni della nostra esistenza? Quale è il peso/volume delle esperienze, le emozioni, i sentimenti vissuti durante essi?

Secondo me è inevitabile che incida, e credo anche che sarebbe ingenuo negarlo. Se ne fa un gran parlare e forse a molte persone questo sembra un’esagerazione, ma è così, tutto ciò che accade mentre cresciamo e ci formiamo come individui, nel bene e nel male, lascia un segno. Poi be', il dilemma natura vs. cultura é una croce degli antropologi culturali da sempre, ed è ormai assodato che la verità sta nel mezzo; non tutto ha origine da ciò che sperimentiamo in tenera età ed esistono certamente delle predisposizioni su cui questo vissuto si innesta, ma resta il fatto che crescere assimilando ripetutamente lo stesso tipo di input dannoso, o magari attraversando un trauma senza poi ricevere il giusto tipo di supporto da chi dovrebbe proteggerti, o addirittura subire un trauma proprio per mano di queste persone, lasciano segni indelebili, che a loro volta danno addito a meccanismi di difesa che andranno poi esaminati e probabilmente modificati.

"I traumi infantili sono costitutivi della personalità umana che sfocerà nell'età adulta. In ogni devianza umana c'è traccia di questi traumi. Una cosa è certa: questi mostri riusciranno a condizionarmi per tutta la vita. E così sarà per tutti" (Flavio Domenico Porrati). Concordi con queste parole?

Indubbiamente. Quando qualcosa ti spezza, non lo cancelli con un colpo di spugna. Qualcosa, in te, cresce tutto storto e ingobbito dopo aver incassato il colpo. Se ti va bene, riesci a salvarti. Ci sono persone a cui non é andata bene. Io devo ancora capire a quale di queste categorie appartengo.

Rinnovandoti i complimenti, ti ringrazio per l'attenzione e lascio a te e parole finali.

Ultimamente sono un disco rotto, lo so, ma pazienza. Io non ho tutta questa grande visibilità e le mie parole restano una goccia minuscola in un oceano, ma ci provo comunque: smettetela di attendere un’altra guerra globale col numeretto seriale per alzare la voce contro la barbarie, la pulizia etnica, i fascismi. Ci siamo già dentro, è la stessa identica merda dell’ultima volta, della Shoah, delle persone che morivano come mosche negli anni ‘90 perché a nessuno importava che a morire fossero gay o tossicodipendenti. C’é un genocidio in corso, l’ennesimo, e l’apatia morale é un grande problema. Per dirla con le parole degli attivisti di Act Up e anche di mio padre a cui le ho sentite pronunciare, quasi certamente ispirato da loro, il silenzio é morte. Grazie.

- MARCO CAVALLINI -